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Deroga al blocco dei licenziamenti: accordi di incentivo all’esodo

U

no degli strumenti a cui il legislatore ha fatto ricorso a più riprese al fine di smorzare le ricadute sociali dell’emergenza Covid-19 è il blocco dei licenziamenti.

 

Licenziamenti compresi nel blocco

Ad oggi, il blocco dei licenziamenti è disposto nei seguenti casi:

  • Licenziamenti individuali per giustificato motivo oggettivo (procedure di cui agli artt. 4, 5 e 24 L. 223/1991);
  • Licenziamenti collettivi (art. 3 L. 604/1966);
  • Procedure di conciliazione (art. 7 L. 604/1966).

A fianco di tali periodi di “congelamento” è stata predisposta la fruizione dei c.d. ammortizzatori sociali (CIGO, CIGD, FIS, CISOA) con l’intento di non gravare sulle aziende la momentanea inattività dall’intera platea dei lavoratori in forza, nonché di una sola parte.

 

Deroghe e incentivazione all’esodo

Dal 17 marzo 2020 con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del c.d. decreto “Cura Italia” che disponeva in prima battuta il blocco dei licenziamenti, si sono succedute innumerevoli norme lavoristiche in materia fino a giungere al “Decreto agosto” il quale oltre a disporre la proroga al divieto, ha definito un elenco tassativo di eccezioni allo stesso.

Tale indirizzo legislativo è stato mantenuto anche nei contenuti delle norme emanate successivamente nonché nel recente c.d. “Decreto Sostegni”, che ha nuovamente prorogato il divieto di procedere ai licenziamenti, fatte salve le ipotesi tassativamente elencate all’art. 8 c. 11 della suddetta norma.

Tra queste rileva l’accordo collettivo aziendale con incentivo all’esodo, unica esclusione che tra le altre permette alle aziende di derogare al divieto proseguendo al contempo l’attività lavorativa.

 

Come devono procedere le aziende?

Le aziende interessate a ricorrere all’utilizzo di tale strumento dovranno stipulare un accordo di secondo livello con le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative a livello nazionale (ovvero con le loro articolazioni territoriali) che definisca espressamente nei suoi contenuti un incentivo economico ai fini della risoluzione del rapporto di lavoro. Tale importo dovrà essere versato insieme alle spettanze di fine rapporto ed è esente da contribuzione previdenziale.

La norma non menziona poi particolari limiti soggettivi di applicazione, né con riferimento ai datori di lavoro né con riferimento ai lavoratori, ovvero obblighi procedurali, essendo sufficiente l’intesa tra le parti.

Per completezza è doveroso sottolineare come l’esodo incentivato non integri una procedura di licenziamento collettivo – ad oggi vietata dalla normativa emergenziale – bensì una modalità di adesione volontaria alla risoluzione del rapporto di lavoro. Potrebbe dunque realizzarsi l’ipotesi per la quale, stipulato l’accordo con le rappresentanze sindacali, nessun lavoratore decida di aderirvi, rendendo, quindi, irrilevante e senza seguito l’intesa raggiunta.

Diversamente ove uno o più lavoratori si rivelino interessati all’esodo incentivato si renderà necessario definire un successivo accordo individuale sottoscritto in sede protetta, il quale rispecchierà i crismi del c.d. “accordo tombale” al fine di ottenere da entrambe le parti una valida rinuncia a eventuali ulteriori pretese in relazione al rapporto di lavoro in fase di cessazione.

 

Incentivazione all’esodo: quali vantaggi

Il ricorso a tale strumento presenta vantaggi sia per il datore di lavoro che potrà procedere ad una o più risoluzioni del rapporto di lavoro, sia per il lavoratore, il quale oltre a percepire un quid pluris in qualità di incentivo all’esodo vedrà mantenuto il diritto di accesso alla NASpI, possibilità, come noto, tradizionalmente esclusa e riservata alle ipotesi di perdita involontaria dell’occupazione o situazioni assimilate.

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